Crisi come quella legata al morbo della mucca pazza (BSE, Bovine Spongiform Encephalopathy), diagnosticata per la prima volta nel 1986 nel Regno Unito e di cui si sospettava già dal 1988 un legame con la somministrazione di farine animali negli allevamenti bovini inglesi, o la cosiddetta crisi della diossina che ha colpito il Belgio nella primavera del 1999 ed in particolare il settore del pollame hanno posto il legislatore europeo di fronte alla necessità di istituire un sistema di sicurezza alimentare nuovo e incentrato sullo spirito di collaborazione non solo a livello di imprese lungo tutta la filiera, ma anche tra imprese ed autorità ufficiali, nonché tra Stati membri. Con le scelte legislative conseguenti al Libro bianco sulla sicurezza alimentare del 1999, gli obiettivi del legislatore erano migliorare le norme di qualità e rafforzare i sistemi di controllo dall’azienda agricola al consumatore. Con il Libro Bianco dell’epoca, del quale principi ed obiettivi definiti allora oggi non riflettono più l’attuale situazione di sicurezza alimentare, la Commissione europea proponeva un insieme di misure che consentissero di organizzare la sicurezza alimentare in modo più coordinato e integrato attraverso: la creazione dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), l’istituzione di un sistema per la comunicazione del rischio (il Rapid Alert System for Food and Feed, RASFF), la definizione di un quadro giuridico che includesse tutti gli operatori coinvolti nella catena alimentare, anche le imprese agricole (un approccio “from farm to fork”, con oneri diversi a seconda del tipo di impresa e delle fasi condotte), sistemi di controllo più armonizzati a livello nazionale e, ultima ma non meno importante, la proposta per la costruzione di un dialogo con i consumatori e le altre parti coinvolte. Il legislatore è arrivato a definire un regolamento che costituisce il riferimento normativo per il sistema di sicurezza alimentare europeo [Reg. (CE) n. 178/2002], e negli anni successivi ha emanato una serie di regolamenti che rientrano nel “pacchetto igiene”, ovvero norme finalizzate all’armonizzazione e semplificazione di tutti gli aspetti legislativi sull’igiene degli alimenti, con specifiche per i prodotti di origine animale destinati al consumo umano. Un aspetto importante di queste norme riguarda l’introduzione delle responsabilità in capo ai vari operatori della catena alimentare che, proprio in virtù degli obblighi e dei requisiti fissati con il pacchetto, operano ancora oggi in regime di autocontrollo. Il concetto di autocontrollo ha un’ampia valenza ed è strettamente connesso alla responsabilizzazione dell’operatore riguardo all’igiene ed alla sicurezza alimentare, valendo come obbligo di tenuta sotto controllo delle proprie produzioni. Il sistema che è stato così istituito non guarda solamente al prodotto finale, ma tiene conto della complessità delle filiere e delle fasi che compongono ciascuna produzione dall’inizio alla fine, in cui il comportamento assunto dal responsabile dell’impresa ma anche dal suo personale diventa elemento imprescindibile per un prodotto alimentare sicuro. Quindi, obbligando l’operatore a produrre e fare impresa seguendo norme che implicano un comportamento di prevenzione prima di tutto, si è voluto portare l’operatore alla completa consapevolezza della sicurezza alimentare nell’impresa sotto il suo controllo. Un sistema che tuttavia ha posto le imprese alimentari di fronte a nuovi e complessi carichi di lavoro e di documentazione, nonostante la flessibilità ammessa dal pacchetto igiene stesso.
Negli anni, grazie all’approccio di rivalutazione da sempre adottato per migliorare l’impianto normativo, la Commissione ha presentato 5 diverse proposte legislative che rientrano nel Pacchetto sulla sanità animale e vegetale del 2013, e che oggi trovano la loro ragion d’essere in nuovi regolamenti, tra cui il Reg. (UE) n. 2017/625 sui controlli ufficiali ed il n. 2016/429 (la normativa in materia di sanità animale). Un aspetto inreressante di queste norme è che guardano alla sicurezza alimentare tenendo conto delle nuove sfide che gli operatori del settore dovranno affrontare, come quella della resistenza agli antimicrobici, che vede la zootecnia e i settori ad essa connessi particolarmente coinvolti. Il considerandum n. 32 del Reg. (UE) n. 2016/429 chiarisce perfettamente gli intenti di questa norma rispetto alla resistenza agli antimicrobici, “in aumento” e quindi una “minaccia per la salute umana o animale”: nel considerandum viene specificato che i microrganismi diventati resistenti dovrebbero essere trattati “come se fossero malattie trasmissibili e rientrare nell’ambito di applicazione del presente regolamento”.
Le crisi e le sfide non si sono fermate, e la pandemia da Covid-19 ne è un esempio. Il settore alimentare ne affronterà molte nei prossimi anni, avendo la responsabilità di sostenibilità ambientale, economica e produttiva: ecco che, puntando a raggiungere taluni obiettivi di sostenibilità da oggi al 2030, la Commissione ha approvato la strategia Farm to Fork, importante elemento al cuore del Green Deal europeo, fatta di iniziative sia legislative che non. La produzione agroalimentare dovrà impegnarsi a ridurre l’uso di pesticidi, sostanze antimicrobiche e fertilizzanti, aumentare le superfici coltivate secondo metodo biologico, migliorare il benessere degli animali e favorire la biodiversità per contribuire al raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050 nell’UE. Inoltre, tra gli obiettivi dovrà esserci anche una più equa distribuzione del valore lungo la catena agroalimentare. Si tratta di una strategia che non contempla solo la sicurezza alimentare, ma che si estende ad altri ambiti connessi in modo stretto tra loro ed in grado di influenzarsi a vicenda.
L’esperienza, come quella legata alla pandemia in corso, ci sta sempre più dimostrando come non si possano concettualmente e pragmaticamente separare le produzioni alimentari dall’ambiente e dalla salute sia umana che animale. Si tratta di ambiti strettamente interconnessi, che richiedono un approccio di equilibrio e comportamenti da parte degli attori di filiera sempre più consapevoli, nello spirito di collaborazioni ancora più solide. L’obiettivo è quello di avere una produzione sostenibile sotto i punti di vista: economico, ambientale, di sicurezza alimentare. È una questione di responsabilità sociale.
La resistenza antimicrobica (inclusa quella più specifica agli antibiotici) è tra le tante sfide complesse che il settore lattiero-caseario si trova ad affrontare. Per molti anni, l’uso di antibiotici ha consentito agli operatori di difendersi dai danni legati alle infezioni che colpiscono gli allevamenti da latte. La resistenza è un meccanismo naturale ed i tratti genici associati possono essere intrinsecamente presenti nelle popolazioni microbiche o essere acquisiti mediante trasferimento genico orizzontale. L’espressione della resistenza può avvenire in condizioni normali oppure può essere scatenata dall’esposizione a stress ambientali, sostanze chimiche o altri agenti biologici. Tra i fattori di stress, ci sono anche i farmaci, inclusi gli antibiotici. L’esposizione prolungata o aumentata a questi fattori porta ad una selezione dei ceppi che sopravvivono grazie ai geni di resistenza, creando la base per una loro proliferazione e successiva propagazione nell’ambiente, arrivando all’uomo, con conseguenze spesso gravi: Cassini e colleghi (2019, Attributable deaths and disability-adjusted life-years caused by infections with antibiotic-resistant bacteria in the EU and the European Economic Area in 2015: a population-level modelling analysis, Elsevier) stimano che l’AMR collegata all’uso eccessivo ed inappropriato di antimicrobici negli animali e nella sanità umana porterà a 33 mila morti nell’UE/EEA ogni anno, con costi inevitabili e considerevoli per la sanità pubblica. La Commissione europea agirà per ridurre le vendite complessive di antimicrobici per gli animali allevati e per l’acquacoltura del 50% nel 2030 come una tra le azioni della strategia Farm to Fork. Le nuove normative sui farmaci veterinari e sui mangimi medicati prevedono già una vasta gamma di misure utili a raggiungere questo obiettivo.
In un allevamento, per tutelare la salute dei nostri animali e per garantire un latte sicuro dal punto di vista igienico-sanitario, devono essere adottate tutte quelle misure di biosicurezza che vanno a prevenire l’introduzione e a limitare la diffusione di nuove malattie ed infezioni in una popolazione indenne. Tali misure coinvolgono azioni di prevenzione, profilassi, controllo ed eradicazione. L’uso di antibiotici è chiaramente uno strumento a supporto di queste azioni, ma quando avviene in modo irrazionale, eccessivo e non coerente con le indicazioni specifiche date da produttore e veterinario, lo sviluppo di resistenza antibiotica è un rischio di portata elevata. La prevenzione è pertanto elemento e strumento fondamentale ai fini della salute e del benessere animale, ma anche per l’ottenimento di un latte sicuro e tecnologicamente idoneo alla trasformazione: sono infatti noti i limiti tecnologici legati al blocco delle fermentazioni in caso di residui di taluni principi attivi antibiotici. Attualmente, pochissimi nuovi antibiotici sono in fase di sviluppo: il rischio di non avere nuove ed efficaci sostanze, insieme alla crescita dei fenomeni di resistenza, potrebbe portare la società al punto di partenza, ovvero alle condizioni di un’era pre-antibiotica, dove una semplice infezione potrebbe uccidere un bambino o con l’impossibilità di avere numerosi interventi chirurgici a causa della mancanza di antibiotici efficaci per la profilassi. I numeri dati dell’OMS parlano chiaro: se il mondo non agisce, le malattie causate da fenomeni di resistenza ai farmaci potrebbero causare 10 milioni di morti ogni anno entro il 2050 e danni all’economia catastrofici come la crisi finanziaria globale del 2008-2009. Entro il 2030, la resistenza antimicrobica potrebbe costringere fino a 24 milioni di persone in estrema povertà. Se da un lato rimane il problema della necessità di far fronte a problemi di biosicurezza, dall’altra oggi la ricerca farmaceutica sta avendo difficoltà nel trovare nuovi principi attivi efficaci. Servono soluzioni alternative, complementari ai prodotti antibiotici i quali dovrebbero essere utilizzati in modo razionale ed efficace nel momento di conclamata necessità.
Il mondo zootecnico è ampiamente coinvolto in questo scenario, e proprio per questo deve contribuire nel processo di inversione della rotta: proprio oggi ciascun attore della filiera può contribuire alla riduzione dei fenomeni di resistenza consentendo di evitare scenari apocalittici come quelli definiti dalla recente pandemia.
Il protocollo LatteSicuro, pensato e promosso da OZOLEA, si inserisce in questo complesso contesto di sicurezza alimentare della filiera lattiero-casearia. LatteSicuro nasce da un’esperienza commerciale, resa possibile grazie all’applicazione dei prodotti OZOLEA, ma non può essere semplificato in questi termini: infatti LatteSicuro è un’esperienza di gestione dell’allevamento a 360°. L’elemento chiave per il successo del protocollo LatteSicuro risiede nella capacità dell’allevatore di capire quando utilizzare i prodotti OZOLEA, come utilizzarli e soprattutto come gestire l’allevamento da latte dall’inizio alla fine. Applicare questo protocollo significa per l’allevatore cambiare completamente l’approccio all’allevamento, ed in questo processo non va lasciato solo. Non si tratta di caricarlo di ulteriori obblighi o costi, perché più l’allevatore si affida all’innovazione di OZOLEA, combinaldola con una gestione efficace della sua stalla, e più ne trarrà vantaggio in termini di meno spreco di latte e meno antibiotici acquistati: in sintesi, benefici che nel complesso renderanno il suo latte più sicuro e più sostenibile. Un meccanismo virtuoso per tutta la filiera, fino al consumatore.
LatteSicuro è un progetto che si basa su quattro pilastri:
– sostenibilità economica: oltre alle perdite di latte legate al problema delle infezioni in stalla, ci sono molti altri punti di intervento che consentono una riduzione dello spreco;
– sicurezza alimentare: la resistenza antibiotica è una minaccia, e lo è maggiormente nel settore zootecnico, data la stretta relazione tra zoonosi e salute dell’uomo;
– sostenibilità ambientale: ridurre lo spreco di latte e l’impatto da residui nei reflui zootecnici significa agire su parametri di impatto ambientale;
– responsabilità sociale: avere consapevolezza rispetto al problema della resistenza antibiotica, alla necessità di sostenibilità economica, sociale ed ambientale significa anche tutelare la salute del consumatore e non tradire la sua fiducia. In particolare, con LatteSicuro viene riconosciuta agli operatori della filiera la capacità di aver ascoltato l’appello degli organismi mondiali di sanità che hanno chiesto di ridurre ed utilizzare consapevolmente l’antibiotico come forma di lotta all’antibiotico-resistenza.
La peculiarità di LatteSicuro è il coinvolgimento di tutti gli attori di filiera per la costruzione del modello di circolarità in cui ciascun operatore coinvolto può trarre dei benefici ed in cui viene valorizzato l’impegno degli allevatori per una zootecnia sostenibile.